L'importanza dello sguardo, delle parole, delle relazioni.
In un negozio ascolto involontariamente una giovane mamma con una bimba di 3-4 anni per mano ed un bimbo di pochi mesi in braccio che, tra gente “mascherata” e prudentemente “distante”, commenta a voce alta con un tono accorato:
“Cosa penserà il mio piccolo che, da quando è nato, ha visto in giro solo facce coperte da una mascherina, senza mai vedere bocca e sorrisi? E la bimba? Se resterà a casa da scuola ancora per altro tempo, come potrà imparare a stare con gli altri bambini?”
Preoccupazioni più che legittime e sensate.
La guardo e vorrei risponderle da lontano: “Non lo sappiamo ancora, cara mamma, quali potranno essere nel tempo le conseguenze emotive e psicologiche di questa situazione nei bambini… Possiamo solo ipotizzarle e immaginarle... Ma intanto possiamo fare qualcosa…”
Possiamo essere sicuri che il tentativo degli adulti di dare spiegazioni semplici e chiare, di contenere e di non proiettare sui bambini le proprie ansie e paure, di dimostrare una sufficiente tenuta emotiva, di non perdere l’interesse e l’empatia verso le altre persone trasmetterà ai piccoli la percezione che è possibile (anche se difficile) affrontare questa esperienza così strana ed incomprensibile, che si può anzi farla diventare un modo per imparare la resilienza nei confronti degli eventi negativi della vita e che si può continuare ad avere fiducia nelle inesauribili capacità della mente umana di adattarsi e di trovare nuove soluzioni.
I genitori sono importanti punti di riferimento cui i bambini guardano per comprendere la realtà e per interpretarla in modo meno allarmistico ed ansiogeno ma la scuola e la socializzazione possono esserlo altrettanto.
Lo psicoanalista e filosofo Umberto Galimberti, intervistato su questo tema ha dichiarato:
“I bambini in questo periodo sono stati sacrificati, soprattutto i più piccoli, perché hanno perso la socializzazione o comunque non è stata nutrita la loro componente socializzante. Per i bambini della scuola primaria la socializzazione ha lo stesso valore dell’istruzione: o la si impara lì o non la si impara più. L’istruzione la si può acquisire anche a 50 anni ma la socializzazione va imparata da piccoli. (…)
Nella cultura occidentale il bambino è iperprotetto e iperbeneficiato. Troppo. (…) Freud dice che non dobbiamo descrivere ai bambini un mondo bello e facile come fosse sempre la vigilia di Natale, perché nella vita c’è anche il male, il dolore. (…) Non bisogna esonerare i bambini dalla visione del dolore e del male, perché così li priviamo della capacità di affrontarli quando diventeranno adulti”.
(U. Galimberti in “Psicologia Contemporanea” 2020 n. 280-281 p. 9)
La psicoterapeuta Chiara Gusmani riferendosi ai bambini più piccoli afferma:
“I bambini che si trovano in uno stadio pre-astratto e non hanno quindi sviluppato la logica e la capacità di un pensiero ipotetico hanno bisogno di sicurezza, di spiegazioni semplici e chiare che possano essere ricondotte alla loro percezione del mondo. Dobbiamo stare attenti a non essere incoerenti, non possiamo dire ‘non è nulla’ e poi passare tutto il giorno attaccati alle notizie o parlare al telefono usando termini allarmanti.”
(Chiara Gusmani in “Internazionale” 2020)
La voce rassicurante dei genitori e degli insegnanti che non nascondono il vero ma neppure la speranza; la condivisione e la socializzazione con i compagni di classe che vivono le stesse paure, ma anche lo sguardo accogliente di un estraneo (che non si sottrae ad un sorriso sia pur dietro un’anonima mascherina) potranno far sentire i bambini più sicuri e sereni anche in questo strano percorso di vita.
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