Perché tanta permissività nei rapporti educativi di oggi? Perché questa eccessiva attenzione verso i figli? Quale idea di bambino guida le scelte educative degli adulti?
Il "cucciolo d'oro" (così definito dallo psicoanalista Gustavo Pietropolli Charmet) è il figlio adorato, protetto ed esaltato dei genitori di oggi, che spesso lo considerano o lo immaginano come un bambino eccezionale, unico, potenzialmente geniale, destinato a grandi progetti e successi, innocente, senza colpa, bisognoso soprattutto di comprensione e di affetto, dotato di attitudini e di capacità sicuramente speciali: i genitori pensano quindi che il loro compito sia soprattutto quello di far emergere, di coltivare, di proteggere, di assecondare queste caratteristiche "innate" del loro bambino. Si tratta solo di stimolarlo, di prestargli molta attenzione, di soddisfare ogni sua richiesta o anticipare ogni suo desiderio... convinti che tutto questo favorirà la sua realizzazione.
Perché quindi inibire, provocare frustrazioni, limitare con delle regole, delle richieste o dei precisi interventi educativi questa che si crede sia una naturale e spontanea tendenza del bambino?
La libertà di fare ciò che vuole, la prepotenza nell'imporsi, nel pretendere, nel competere e nel dominare non sono forse segnali di una forte e ammirevole personalità e di una grande intelligenza?
È chiaro che l'immagine di riferimento che hanno i genitori di oggi è quella di un bambino originariamente "buono, affettuoso ed intelligente" che necessita solo di essere valorizzato, gratificato, protetto da sensi di colpa ed insuccessi, difeso, giustificato, facilitato e tutelato rispetto alle difficoltà, alle fatiche, ai dispiaceri. E lo immaginano come un futuro adolescente con un Sé grandioso da realizzare (e nessuna fretta di abbandonare l'accogliente "nido familiare") e ovviamente come un adulto di successo.
Un piccolo alunno di classe prima in un pensierino dichiarò solennemente:
"Da grande farò l'architetto di fama mondiale". Messaggio recepito!!!
ll modello educativo familiare attuale, anziché seguire uno stile regolativo autorevole e "adulto", propende per una relazione affettiva di tipo paritario che ormai è diventata il Mito di riferimento per ogni azione educativa, in quanto tende a ridurre la conflittualità generazionale e crea un clima familiare più amichevole e partecipativo; tuttavia, se questa modalità non viene correlata ad una specificità di ruolo, se non stabilisce la giusta distanza e il rispetto delle reciproche identità, se non allenta i legami simbiotici e di chiusura rischia di non favorire l'emancipazione dei figli, il loro distacco, la loro individuazione e l'adattamento alla vita reale.
Difficilmente oggi si pensa ad un bambino che nasce come ad un soggetto portatore anche di impulsi istintuali, di avidità, di emozioni violente, di aggressività, di rabbia, di sessualità primitiva, di reazioni incontrollate e senza limiti perché questo contrasta con l'immagine idealizzata ed edulcorata che si vuole avere di lui; ma tali caratteristiche innate sono presenti, sono naturali e vitali, non vanno certo represse o rifiutate ma vanno invece riconosciute, considerate, accettate per poterle poi governare, canalizzare ed educare con l'obiettivo di una crescita equilibrata e di un adattamento alla vita relazionale.
È difficile educare un bambino alla rinuncia della soddisfazione immediata e irruente dei suoi bisogni, al ridimensionamento della propria immagine onnipotente, al superamento del proprio egocentrismo: è faticoso, impegnativo e spesso frustrante in quanto costringe a fare i conti con caratteristiche evolutive del bambino ben diverse da quelle immaginate.
Ma la meraviglia della crescita e della funzione educativa stanno proprio in questo: non nel perseguire e realizzare una perfezione già data per scontata (e illusoria) ma nel valorizzare l'individualità originale, misteriosa e spesso "anomala" e imprevedibile di ogni bambino.
(*) Gustavo Pietropolli Charmet - Fragile e spavaldo - Ed. Laterza 2010
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